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LE ORIGINI E L'EVOLUZIONE DELLE SOCIETA' DI MUTUO SOCCORSO

IN VALTELLINA E VALCHIAVENNA

1962 - Centenario della Società Democratica Operaia di Mutuo Soccorso di Chiavena
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Le società di mutuo soccorso traggono la loro ispirazione dallo spirito associativo degli uomini che, volontariamente, con contributi periodici, formano un fondo comune da distribuire ai soci bisognosi o da utilizzare in altri modi congegnali all’associazione stessa.
Le unioni di operai costituite con lo specifico fine mutualistico videro la luce in Italia nella seconda metà del secolo scorso, inizialmente in Piemonte e Liguria. A seguito dei moti del ’48, infatti, si sviluppò, su impulso dei borghesi di idee liberali, la volontà da parte degli operai di migliorare il loro status, sia dal punto di vista economico che sotto l’aspetto culturale.
La provincia di Sondrio, come tutta la Lombardia, era stata soggetta all’Austria, la quale non vedeva di buon occhio le libere associazioni e cercava di proibirle o perlomeno di sorvegliarle assiduamente. Per parlare di libere associazioni di lavoratori valtellinesi e valchiavennaschi si dovette attendere l’unificazione italiana.
Il primo congresso tenuto in Lombardia fu l’ottavo, inaugurato il 26 Ottobre 1860 a Milano; vi presero parte 109 delegazioni, rappresentanti 64 Società Operaie della Lombardia, del Piemonte, dell’Emilia e della Toscana.
Il congresso fu molto animato, più che i precedenti, infatti, si manifestarono vive le due tendenze che animavano le associazioni operaie: quella democratica mazziniana e quella moderata, cara alla classe dominante. Vi si parlò di viaggi gratuiti ai delegati, onde potessero partecipare ai congressi non solo gli intellettuali benestanti, ma anche i lavoratori manuali, spesso non in grado di affrontare le spese di una trasferta per l’epoca abbastanza onerosa. Si discusse sullo sciopero, sui possibili accorgimenti da intraprendere per evitarlo senza l’uso della forza, si trattarono argomenti e problematiche di vario interesse come gli orari di lavoro, l’istruzione obbligatoria, i prestiti a interesse agevolato. Ma soprattutto si toccò il tema del suffragio universale, ovvero del diritto di voto per eleggere i rappresentanti in parlamento, e del diritto dei lavoratori di partecipare alla vita politica, considerato da tutti i democratici il mezzo migliore per dare agli operai maggior potere, al fine di risollevarli e riconoscere loro i medesimi diritti spettanti alle classi agiate.
Si può facilmente constatare, allora, come l’iniziativa delle Società Operaie abbia assunto, sin dalle origini, una duplice tendenza: da un lato quella che faceva leva sul “mutuo soccorso” nel senso proprio del termine: l’assistenza in caso di malattia e di invalidità, il sussidio agli anziani e agli orfani ecc; dall’altro quella che mirava fortemente al “riscatto degli operai”, mediante l’istruzione, l’acquisizione della consapevolezza dei propri diritti personali e collettivi, l’ottenimento del diritto di voto, ed anche mediante vere e proprie forme di lotta, come lo sciopero.

Sotto il dominio austriaco, le uniche associazioni che il governo d’Austria riconosceva erano le Associazioni religiose, i Monti di Pietà, i Luoghi Pii Elemosinieri, le Congregazioni di Carità ed altre forme associative che si prestassero ad un facile controllo da parte del governo stesso.
Con ogni probabilità la prima forma di associazionismo operaio in provincia di Sondrio nacque a Chiavenna.

La nascita ufficiale della “Società Democratica Operaia di Chiavenna” avvenne il 16 Febbraio 1862,data della riunione costitutiva, in cui diedero la loro adesione 64 persone, impegnandosi nel previsto versamento mensile alla cassa sociale di 50 centesimi. Verso la fine del mese i soci erano saliti ad 87, con altre 20 domande di ammissione giacenti.
Sotto la guida di Carlo Pedretti, giovane mazziniano, già volontario nella 2° guerra d’indipendenza e al seguito di Garibaldi nella spedizione nel regno delle due Sicilie, in poche settimane la commissione nominata per la redazione del Regolamento si dichiarava in grado di sottoporre all’assemblea uno schema programmatico, che riuscisse a trovare un equilibrio tra le fondamentali esigenze mutualistiche e gli scopi politici. Le fondamentali finalità associative venivano a comprendere tanto immediati interventi di soccorso ai soci in difficoltà, quanto una ampia attività mirata allo sviluppo culturale e sociale degli iscritti.
Dopo pochi mesi dalla sua fondazione, però, in concomitanza dello scontro d’Aspromonte, in cui le truppe regie bloccarono l’avventura garibaldina verso Roma, le autorità di polizia del Regno ricevettero l’ordine di sciogliere l’Associazione Emancipatrice Italiana di Genova e tutti i nuclei democratici organizzati ad essa affiliati.

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Anche a Chiavenna il pugno di ferro del governo arrivò, concretizzandosi il 29 Agosto 1862, con il decreto di scioglimento della neonata società ed il contemporaneo divieto di convocare una pubblica assemblea per rendere noto il provvedimento, nonchè di avvisare i soci tramite l’affissione di manifesti.
Ciò nonostante, prese subito corpo il progetto di continuare nella riscossione dei tributi e di conservare contatto il fondo sociale, come base per la futura creazione di una nuova società.
La conseguenza di questa decisione fu la ricostituzione, in data 12 Ottobre, della Società, che poteva contare ben 144 soci regolarmente iscritti, e l’elezione del consiglio di amministrazione e del Perdetti a suo presidente. 
La Società era ora in grado di funzionare in concreto. I primi anni, non privi di vicissitudini e tribolazioni, videro il progressivo radicamento delle attività del sodalizio nel tessuto sociale della città.

Insieme al sostegno economico ai soci in difficoltà, si andavano sviluppando, con esiti alterni, le iniziative volte a promuovere l’istruzione, con l’istituzione di scuole serali e domenicali, la biblioteca popolare, la creazione della banda musicale e la diffusione di stampa democratica.
Un’altra istituzione di cui Pedretti riteneva fondamentale la costituzione era una banca operaia all’interno della società. Egli, infatti, riteneva che, se il ceto dei lavoratori aspirava ad una propria autonomia, tale condizione non poteva prescindere dalla creazione di propri centri di finanziamento. Purtroppo per la società, il proposito di fondare una vera e propria banca rimase tale, ma il servizio di prestito si rivelò di grande successo, sia per l’aspetto economico che per lo stimolo al risparmio.

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Il primo Marzo 1870 nasceva la sezione femminile, dotata di un proprio comitato direttivo, una propria assemblea e una autonoma gestione  finanziaria; alla prima riunione parteciparono 120 iscritte e l’elezione del comitato direttivo registrò la nomina di Caterina Forni, fedele compagna del presidentePedretti. Prendeva così piede un’altra istituzione fortemente voluta dallo stesso Presidente, che vedeva nella partecipazione di tutta la famiglia operaia all’attività sociale una importante fonte di stabilità e costante impegno dell’operaio stesso, che, avendo i famigliari nella società, sarebbe stato più puntuale nei suoi adempimenti.
Grazie anche alla divisione femminile, i soci salirono a 497, ed il patrimonio netto arrivò, alla fine del ’73, a ben 23500 lire, dieci volte tanto quello riscontrato nel primo rendiconto del 1863. Decorsi quindi dieci anni dalla nascita, sorgevano, inoltre, per i soci iscritti dal ’62 i diritti previsti dal regolamento, alle pensioni di vecchiaia ed ai sussidi per le vedove e gli orfani dei soci defunti Di lì a venire, per molti anni, la Società fu retta da Carlo Pedretti, e si mantenne sempre fedele al suo programma, favorendo anche l’istituzione di un asilo infantile, dell’ospedale, della scuola tecnica Garibaldi e molto più tardi della Società per la Luce Elettrica.

“ La politica non è adunque esiziale alle società operaie, come ai nemici di esse piace affermare, me è un complemento della loro vita, una condizione necessaria della loro stabilità e floridezza”.
Ubbidiente a tale dettame il Pedretti, unitamente ad altri soci del Sodalizio, fu promotore del circolo mazziniano “Pensiero e Azione” di Chiavenna, cui fece seguito, in collaborazione con il tipografo Giovanni Ogna, la pubblicazione dei settimanali repubblicani “Il Libero Alpigiano” e “Alpe Retica”. I fondi sociali furono sempre saggiamente e scrupolosamente amministrati, facendo sì che la società non venisse mai meno agli impegni presi con i propri affiliati.
Verso la fine del 1891, in previsione della partenza di Pedretti per l’America, la Società elesse a presidente Cesare De Steffani, il quale però morì nel Giugno ’92. A succedergli venne eletto il fratello Italo. 
Nel 1891, la Società Democratica Operaja di Chiavenna, a un anno dalla sua istituzione, sfidando i divieti delle autorità costituite, celebrava la festa del primo maggio con un discorso del Perdetti e una larga partecipazione di pubblico.

L’affermarsi della questione sociale ed il sorgere di partiti espressione diretta delle istanze dei lavoratori non ridussero l’importanza della società democratica operaia, che, unitamente al mutuo soccorso ed all’educazione, si premurava di favorire l’affrancamento dei lavoratori anche in termini contrattuali, favorendo la creazione della camera del lavoro a Chiavenna e continuando a celebrare la festa del primo maggio, chiamando come oratore ufficiale in più occasioni il poeta Giovanni Bertacchi, illustre socio del sodalizio. Ai primi del novecento risale l’acquisto dell’immobile di palazzo Robbi che già ospitava il sodalizio e che tuttora è sede delle attività dello stesso. 

Con l’affermarsi del fascismo gli spazi di libertà conquistati nel primo periodo del novecento vennero cancellati e con essi anche la Società Operaia perse la propria orgogliosa autonomia. Il consiglio venne sciolto e ad esso si sostituì un commissario prefettizio. 
Non mancò il tentativo di espropriare il sodalizio della sede sociale, tentativo che venne rintuzzato dalla pronta e ferma opposizione dei soci, all’opera dei quali si deve anche la salvaguardia dei preziosi documenti testimonianti la storia della Società, che oggi compongono l’archivio sociale.
Con la caduta del regime (manifesto del Comitato di Liberazione) anche la Società Democratica Operaia ha ripreso ad esercitare liberamente le proprie funzioni ed attività e, grazie all’opera di uomini come Enrico Greppi, presidente del dopo liberazione, Giulio Chiarelli, succeduto al Greppi negli anni 60, dei presidenti che si sono succeduti fino ai giorni nostri e al costante l’impegno dei soci, ha continuato a tenere vivo tra i chiavennaschi lo spirito originario del sodalizio di fraternità e uguaglianza e libertà.

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MANIFESTO DEL COMITATO DI LIBERAZIONE

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